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Collocato tra i ketuvim (gli scritti), Qohèlet, assieme a Giobbe, è il più moderno e interessante fra i sapienziali biblici. Il termine ebraico Qohèlet deriva dal participio passato del verbo qahal, che significa convocare, adunare, riunire in assemblea. Qohèlet indica colui o colei che convoca l'assemblea. In greco è stato tradotto con ekklesiastès (da ekklesia, assemblea appunto), Plutarco usò però questo termine in modo duplice per indicare sia l'atteggiamento di Qohèlet quando si interroga in qualità di maestro che quando si risponde come spettatore. Per gli ebrei Qohèlet è più di un libro, è una Meghillà, un rotolo, un volume da srotolare e da comprendere. Durante il Sukkot, la festa delle capanne, in cui si ringrazia l'altissimo per il raccolto e si ricorda il lungo cammino del popolo ebraico attraverso il deserto, la lettura del Qohèlet invita a godere dei doni ricevuti senza dimenticare da chi arrivano. Una versione, quella di Momentè, forse meno poetica di quel che ci si potrebbe aspettare, ma che cerca di attenersi il più strettamente possibile al testo originale.